venerdì 5 aprile 2013

CAUSE ED EFFETTI PSICOLOGICI DEL DOPING SPORTIVO



Solitamente sono noti gli effetti fisiologici di quelle sostanze farmacologicamente attive in grado di potenziare le capacità fisiche e quindi di migliorare le prestazioni sportive. La medicina dello sport sta sempre più battendosi per individuare, circoscrivere e quindi divulgare le conseguenze più nefaste che tali sostanze sviluppano sull'organismo dell'atleta .
Tuttavia meno noti e purtoppo sottovalutati risultano essere, sia tra gli addetti ai lavori sia, a maggior ragione, presso il grande pubblico, gli effetti che le sostanze di cui sopra hanno sull'apparato psichico dell'atleta dopato, effetti pertanto collaterali a quelli fisiologici, ma non per questo meno nefasti e invalidanti.
Anche sulle cause , ovvero sulla “motivazione” a fare uso di queste sostanze, sia la psicologia clinica sia la più specifica psicologia dello sport hanno molti contributi da dare. Proprio da queste ultime partiremo.

CAUSE DEL DOPING

 A)Cause di natura socioambientale, così originata:

1)Eccessive aspettative e pressioni ambientali possono predisporre l'atleta all'uso di sostanze dopanti: il mito sociale del successo appare qui largamente responsabile e può risultare decisamente seducente per i ragazzi adolescenti, cioè in soggetti che non hanno ancora completato l'età evolutiva.
 E' ormai un dato di fatto largamente condiviso che un novero sempre più allargato di settori della società presentano disponibilità crescenti a fare uso di sostanze o pratiche illecite (potenzianti, stimolanti o defatiganti che siano) allo scopo di migliorare le prestazioni: non solo in campo sportivo quindi, ma anche in quello economico-industriale e in quello politico, per non parlare di quello, estremamente diffuso, negli ambienti dello spettacolo.
In particolare per l'adolescente, in assenza di precisi “anticorpi” delle sue agenzie educative (famiglia, scuola, società sportiva), la fase dell'età evolutiva nella quale egli ricapitola le naturali pulsioni narcisistiche e contrappositive lo espone a forti rischi di attrazione-emulazione  per ciò che è proibito (“ma tanto lo si fa lo stesso”, perché è proprio questo il messaggio ambiguo che gli arriva dal mondo adulto). Così il naturale narcisismo (ovvero l'autoriconoscersi individuo a se stante e diverso dai genitori) che può essere in lui positivamente soddisfatto  da un corretto ed appagante impegno nello studio, o da una leale e gratificante pratica sportiva, può diventare il classico fuoco sotto la cenere su cui rischia di soffiare il “vento” proveniente da un ambiente che lo stimola a primeggiare ad ogni costo. Un clamoroso esempio delle conseguenze di quanto sopra lo troviamo di questi tempi nella gioventù giapponese, presso la quale sta dilagando il fenomeno  psicopatologico e sociale definito “Hikikomori”, un sostanziale ritiro depressivo in se stessi di moltissimi ragazzi che rinunciano ad avere un normale sistema fi relazioni umane per chiudersi invece nella propria stanza ed interagire con un esterno virtuale solo attraverso la tecnologia; e questo in conseguenza di eccessivi stimoli da parte di una società ultracompetitiva.
 In particolare nel mondo dello sport stiamo assistendo al dilagare del doping, anche e soprattutto in ambito amatoriale. Sono stati rilevati  casi di doping nelle stesse Paraolimpiadi, settore che già si riteneva assolutamente “pulito” per via delle forti e sofferte motivazioni dei loro partecipanti.
Stiamo assistendo, in buona sostanza, ad un progressivo calo generale della coscienza, sia essa intesa in senso etico che in senso di consapevolezza, sotto i colpi del mito del successo, dei grandi guadagni e dell'apparire.
 Psicologicamente parlando il doping, sportivo e non solo,  si configura come un vero e proprio delirio di onnipotenza dell'Io  , di un  Io  che ridiventa così sempre più stimolato e governato da pulsioni arcaiche, cioè quelle collegate agli strati neurofisiologicamente più antichi del nostro cervello, e precisamente quelli che filogeneticamente vanno a  configurarsi      come il primordiale cervello del Rettile. Questi strati presiedono a pulsioni unicamente dirette a soddisfare l'Io ponendosi in assoluta competizione per poter dominare tutti gli altri individui, non contemplano dunque affettività e solidarietà,  e trovano il proprio scopo  nel realizzare il proprio soddisfacimento costante attraverso un'attività unicamente competitivo-depredativa.
 Se pensiamo ai principi sportivi moderni quali il fair play, il rispetto delle regole e dell'avversario, il valore educativo della sconfitta, il sacrificio del singolo atleta all'interno della solidarietà del gruppo-squadra, si può subito  ben comprendere come lo Sport abbia costituito una tra  le più importanti invenzioni socioculturali per contemperare l'innato spirito competitivo umano con quei valori positivi che giungono a trascendere, superare le remote ma mai vinte  pulsioni “rettiliane”. E allora possiamo  altrettanto ben percepire come il doping costituisca esattamente il mezzo ideale per depotenziare i valori di un Io evoluto e consapevole e ridare invece potenza al Rettile ferino, soffiare sul fuoco di una competitività elevata a sistema  che quindi prevede sempre e soltanto l'affermazione, la vittoria. La vittoria o il primato ad ogni costo.

Che si tratti però di un'operazione vuota di significato etico-esistenziale, contraddittoria sul piano della razionalità (cioè perdente sul piano di un confronto costi-benefici in salute), diseducativa dal punto di vista sociale, analogamente patologica dal punto di vista mentale, comportamentale e relazionale, è dimostrato dal fatto che l'Io “delirante” dell'atleta che si dopa  è portato ad  abbassare drammaticamente e a tal punto la soglia della sua criticità e vigilanza sulle ricadute tossiche del doping sul suo fisico da sospingerlo a sacrificare potenzialmente il futuro della propria esistenza pur di soddisfare un presente dominato completamente da un illimitato narcisismo bisognoso di essere costantemente soddisfatto. Detto in altri termini, si instaura nella mente dell'atleta dopato una vera e propria dipendenza mentale dalle sostanze dopanti, percepite sempre più come la vera chiave di volta che gli permette di continuare a prevalere sugli avversari e che gli garantisce quindi la vittoria ed il soddisfacimento dell'Io narcisistico (cioè centrato unicamente su di sé e che usa gli altri soltanto per affermare se stesso).

Il mito sociale del successo, dicevamo. Questo mito può  essere più facilmente veicolato dagli stimoli eccessivi provenienti dalla squadra di appartenenza e dal suo entourage, come gli allenatori o gli stessi ambienti federali; e non di rado essi arrivano dalle stesse famiglie, quelle che stanno troppo “addosso” ai loro figli, sui quali proiettano pertanto esagerate aspettative di affermazione.
 Nel caso dello sport  professionistico un ruolo tutt'altro che marginale nel sospingere al doping lo rivestono talune valutazioni giornalistiche e soprattutto le pressioni dovute alla necessità di ottenere dagli atleti frequenti prestazioni ad alto livello per giustificare ingenti investimenti finanziari da parte degli sponsor; ma rivestono tale ruolo anche  quegli stili di vita pericolosamente edonistici e deresponsabilizzanti che oggi vengono ampiamente incoraggiati presso i giocatori dal clima frivolo, privo di profondità di sentimenti e culturalmente superficiale che è presente negli ambienti del professionismo calcistico, come diverse interessanti pubblicazioni di qiuesti ultimi anni stanno finalmente divulgando (contribuendo così significativamente a smitizzare i valori di cui è stato ammantato questo sport popolarissimo).

      2)L'eccessivo impegno sportivo così stimolato nell'atleta risponde alla funzione di sostenerne un'autostima e un'identità fondata esclusivamente prima sul successo agonistico e sul prestigio sociale (e, in campo professionistico, anche e soprattutto su aspettative di elevati redditi) e poi, in misura sempre più crescente, sulla paura di poter perdere tale identità “vincente”.
      3)Ciò determina un eccesso di stress ed una conseguente, crescente ansia per contenerlo e ridurlo. Di qui la necessità di utilizzare il doping anche con precipue funzioni di rassicurazione, operazione quindi funzionale, in questa fase, a nche a ridurre lo stress. Il che si traduce, ovviamente, in un ulteriore rinforzo motivazionale ad assumere sostanze dopanti.


B)Cause di natura psicoemotiva: in questo caso la spinta al doping è maggiormente  originata dalla stessa struttura caratteriale del soggetto,che  può essere soggetta a:
 1)un Io molto insicuro e alla conseguente paura di fallire la prestazione, un Io che può facilmente proiettarsi in un Io ideale “costruito” tramite la suggestione di un qualche campione che si cercherà ossessivamente di imitare.
 2)un Io eccessivamente competitivo e perfezionista, che rivela   una già presente fissazione narcisistica.


C)Cause di natura psicofisiologica: la spinta al doping può instaurarsi
1)come scorciatoia per una veloce riconquista della forma perduta in seguito ad infortunio;
2)per controllare il peso-forma.


 EFFETTI DEL DOPING


 1)Dove prevaleva la soddisfazione per i risultati gradualmente costruiti nel tempo mediante un serio e ponderato allenamento, il doping fa subentrare la tensione ansiosa causata dalla crescente fissazione ossessiva di prevalere ad ogni costo.
Quest'ultima sembra avere a che fare  con la formazione di sostanze neurochimiche come le encefaline che prendono il posto delle precedenti, benefiche e piacevoli endorfine cerebrali generate dalla stessa attività fisica  quando essa era davvero libera, soddisfacente e divertente.
   
2)Dove prima era presente  un onesto impegno nel guadagnarsi i propri miglioramenti tecnici ed una distanziata umiltà che permetteva di dare un valore positivo anche alla sconfitta, traendone sia insegnamento morale ed appagamento esistenziale  che nuovi stimoli per migliorarsi tecnicamente, con il doping  si instaura invece una dipendenza mentale dal doping per poter esorcizzare lo “spettro” di un  ormai intollerabile insuccesso.

3)Ciò può scatenare di conseguenza una vera e propria fobia specifica della sconfitta, costringendo l'atleta ad un'altalenanza di stati euforici e disforici dell'umore (in conseguenza dei risultati ottenuti) i quali sfociano, in definitiva, in  Disturbo Depressivo vero e proprio.
L'Io regredisce verso livelli arcaici e si fissa a livello immaturo ed ipertrofico-aggressivo (narcisistico). Nel caso soprattutto delle cause socioambientali l'Io dell'atleta dopato si involve regredendo a livelli psicoemotivi  che pure erano già stati superati nel corso dell'età evolutiva del soggetto. In tal caso possono altresì facilmente instaurarsi sospetti paranoidi di doping sugli avversari, che in tal caso determinano  un ulteriore rinforzo della dipendenza  mentale dal doping (“se  barano gli altri devo farlo anch'io se voglio ristabilire pari opportunità competitive”).

A seconda del tipo di sostanza dopante assunta l'atleta presenterà differenti tipologie di effetti psicologici, cosa che configurerà un'autentica alterazione della sua stessa personalità. Per brevità portiamo ad esempio  gli effetti psicologici di due sole “vecchie”sostanze dopanti:
1)stimolanti come le amfetamine deprimono la sensazione della fatica e comportano quindi una diminuzione della soglia percettiva del pericolo derivato dall'esaurimento inconsapevole delle energie: si pensi a questi rischi negli sport motoristici). Queste sostanze potenziano la vigilanza e dunque i riflessi, ma esaltano nel contempo la competitività fino a raggiungere livelli di aggressività antisportiva che degenera in stati di irritabilità e di agitazione psicomotoria, prodotti soprattutto dal bisogno costante  di esorcizzare la paura di non riuscire a restare su elevati livelli di rendimento quanto più si esauriscono le energie non reintegrate. Di qui la necessità di passare a forme più “evolute” di doping.

Gli steroidi anabolizzanti modificano invece la struttura muscolare ed hanno quindi, di norma, un forte effetto “benefico” sui soggetti caratterialmente più fragili e insicuri, al prezzo però di aumentarne aggressività e irritabilità procurando loro  attacchi di panico ed autentici disturbi della personalità quali il Disturbo Dipendente di Personalità, il Disturbo Istrionico di Personalità, il Disturbo Narcisistico di Personalità, il Disturbo Ossessivo di Personalità e il Disturbo  Paranoide di Personalità.
Pur non disponendo in questo momento di dati certi, è altamente probabile che disturbi psichici del tutto analoghi possano svilupparsi in chi ricorre a pratiche dopanti di generazione più recente (come l'EPO o il THG), per il semplice fatto che la loro base motivazionale, e quindi i meccanismi mentali di chi ne fa uso, non appaiono particolarmente differenziati da quelli relativi all'uso di steroidi e amfetamine. Ciò che importa è lo stato mentale, ovvero l'aver sviluppato la disponibilità mentale al doping e l'averla rinforzata assumendo materialmente sostanze dopanti, indipendentemente dalla tipologia di queste ultime.
Come è noto dalla psichiatria e dalla psicologia, tutti questi disturbi, in assenza di eventi fortuiti o di forti decisioni terapeutiche che spezzino il circolo vizioso in cui l'atleta dopato è caduto, rendono particolarmente difficoltosa la sua stessa vita relazionale ed affettiva  extrasportiva e soprattutto altamente problematico il suo riadattamento alla vita  post-sportiva a causa delle già intervenute alterazioni della percezione della realtà in ambito affettivo,comportamentale, relazionale ed esistenziale.


CONCLUSIONI


Occorre pertanto che le istituzioni, attraverso gli organismi preposti come le Federazioni e gli Enti di promozione sportiva, rendano trasparenti a tutti gli atleti non solo le imprescindibili conseguenze organiche delle varie sostanze dopanti (morbo di Gehrig, leucemie, tumori ecc.) ma anche le loro forti e penose ripercussioni psicopatologiche. Per certi aspetti queste ultime appaiono ancor più subdole di quelle fisiche e, in quanto tali, potenzialmente foriere di condizionare negativamente tutta la vita dell'ex atleta, specie se non riconosciute come effetto delle pratiche dopanti, come facilmente può avvenire.
Le istituzioni potranno pertanto, in questi tempi in cui il doping non sta certo affatto regredendo, cogliere occasioni importanti quali quelle offerte dalla risonanza sociale di eventi come le Olimpiadi Invernali per sensibilizzare il cittadino che pratica o intende praticare un'attività sportiva, sia a livello professionistico che amatoriale, portandolo a conoscenza dell'intera gamma dei rischi psicofisici connessi all'uso di sostanze dopanti, nonché illustrandogli i meccanismi sociali e psicologici mediante cui egli potrebbe essere tentato di assumere le sostanze in oggetto.
Accanto quindi alla necessità di proseguire le campagne di divulgazione dei vantaggi psicofisici di una corretta attività fisica, si sottolinea quindi con forza la parallela necessità di  campagne  di prevenzione promuovendo una cultura educativa medico-psicologica sempre più costante, diffusa e massiccia tesa ad informare quanti più cittadini possibile  su tutti gli immensi svantaggi psicofisici e sociali connessi con l'assunzione di sostanze dopanti.




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