sabato 25 febbraio 2012

La gestione della squadra


ALCUNE RIFLESSIONI SULLA CAPACITA’ DI GESTIONE DELLA SQUADRA

Come gestisco questa squadra?
Una domanda che ogni allenatore si pone. Una preoccupazione legittima, che non risparmia nemmeno coloro che hanno la possibilità di scegliersi tutta la rosa dei giocatori. Ad un allenatore viene richiesto di conoscere ed essere in grado di insegnare i fondamentali della tecnica e
la tattica dello sport, ma anche di saper controllare l’energia e gli stress, mantenere l’attenzione per lunghi periodi e di porsi delle mete, qualità di leadership e fondamenti di comunicazione.
Le criticità sono diverse e variano moltissimo a seconda della categoria in cui ci troviamo ad operare.
Fermo restando che ogni squadra ha le sue peculiarità, e ogni allenatore le proprie qualità, possiamo prendere in esame alcuni temi trasversali che coinvolgono universalmente la squadra, al di là di categorie e campionati.
Per avere un buon contesto in cui lavorare, credo che il primo passo sia fare del gruppo di giocatori che abbiamo sul campo una squadra.
Creare coesione, il giusto team spirit, non è facile e soprattutto questo non può avvenire se la
spinta è unidirezionale, solo da parte dell’allenatore, solo da parte della società, solo da parte dei giocatori.
A mio avviso, l’allenatore può favorire la costruzione dell’identità e della coesione di squadra attraverso tre elementi: condivisione di obiettivi, fiducia e capacità di comunicare.

Condivisione degli obiettivi: avere un obiettivo chiaro, costituisce un ottimo collante.
Compito dell’allenatore è verificare che questo sia realmente condiviso da tutti i membri
della squadra, dirigenza e staff inclusi.
Un errore da evitare è quello di dare per scontato che giocare nella nostra squadra abbia lo stesso significato per tutti, o che tutti i giocatori abbiano realmente compreso il proprio ruolo e i propri doveri.
All’allenatore spetta anche tracciare le linee guida, stabilire gli step necessari al raggiungimento
del risultato. Per fare ciò è necessario che i ruoli siano ben definiti e riconosciuti, che le regole
siano a loro volta condivise da tutti e soprattutto vissute non come una restrizione, ma come strumenti utili al benessere della squadra. Da qui parte la passione condivisa in campo, dal senso di appartenenza nel sentirsi parte di un processo. La squadra, in fondo, non è altro.
La condivisione dell’obiettivo facilita molto anche la gestione del conflitto, fungendo da faro guida per il superamento delle tensioni tra tecnico e giocatore, ma anche interne allo spogliatoio. Affrontando le criticità con una base comune condivisa sarà più facile trovare compromessi.
In ogni caso pianificare correttamente è importante, ma non risolutivo per tutti i problemi: la pianificazione a lungo termine può determinare effetti negativi. Ne è un esempio l’infortunio di un giocatore per cui gli obiettivi prefissati vengono alla fine falliti o persi di vista, non tanto
per l’infortunio in sé, ma proprio per l’eccessivo investimento sull’evento drammatico.
In un caso del genere l’abilità del tecnico consiste nel creare una nuova visione, credibile quanto la prima, indicare nuove direzioni e stimolare i cambiamenti necessari.
Strettamente correlato alla condivisione degli obiettivi, è il tema della fiducia.

Non è semplice guadagnare la fiducia di una squadra, composta da tanti elementi, i cui bisogni e richieste ovviamente saranno molto diversificate: alcuni atleti desiderano l’allenatore amico, altri l’allenatore psicologo, altri ancora chiedono innanzitutto un supporto tecnico.
Sicuramente è utile iniziare proprio da questa ultima opzione: dimostrare una leadership tecnica forte.
Per esempio, con richieste adeguate alle capacità tecniche del giocatore, motivanti e che valorizzino le sue caratteristiche, prevenendo la frustrazione e rendendolo importante nel contesto; in questo modo si crea anche un circolo virtuoso di fiducia tra i compagni.
Una volta dimostrata la leadership tecnica i giocatori saranno più disponibili a seguire la strada scelta dall’allenatore.

“Errore da evitare:
dare per scontato che giocare nella nostra squadra abbia lo stesso significato per tutti”

Alla base di tutto però deve esserci una buona, anzi un’ottima capacità di comunicare: un’abilità irrinunciabile all’interno di una squadra. Dal punto di vista strettamente tecnico, è molto importante dare feeedback ai propri giocatori, per migliorare la performance agendo sul miglioramento della tecnica e sull’estinzione, almeno parziale, degli errori, oltre a incrementare la percezione di autoefficacia (self efficacy) negli atleti.
Per quanto riguarda il come comunicare, contano parole, mimica e gestualità, ma anche posizione del corpo e distanza dall’interlocutore.
Si parla di prossemica: quanto è più efficace un discorso di incoraggiamento accompagnato da una pacca sulla spalla? Oppure, quanti danni producono sguardi o ammiccamenti negativi mentre l’allenatore parla? Ipotesi minima distraggono solamente, ma il più delle volte tolgono credibilità, autorevolezza alle sue parole, creando il presupposto per una frattura pericolosa nel gruppo.

Come comportarsi?
Imparare a cogliere in modo tempestivo i segnali, cercare di essere costruttivi. Ad esempio, per parlare alla squadra, mettersi in una posizione da cui poter guardare tutti i giocatori negli occhi. È necessario poi fare un passo verso l’ascoltatore, il linguaggio deve essere idoneo all’atleta che abbiamo di fronte e verificare che il messaggio sia passato correttamente, il tono non deve contraddire il contenuto di ciò che si sta dicendo - un rimprovero non potrà essere accompagnato da un grande sorriso!
Un fattore molto importante, ma spesso sottovalutato, è il contesto entro cui si attua la comunicazione.
Paure, motivazioni e aspettative vengono più facilmente a galla lontani dalle tensioni della partita. Magari anche lontani dal campo: saper comunicare può voler dire avvicinare lati poco noti di personalità, con la possibilità di incrementare rispetto e credibilità reciproci.
Un atleta prima di essere atleta è un essere umano e dell’essere umano ha desideri e bisogni, comprendere quali siano questi bisogni si rende necessario se si vuole capire cosa li spinga ad agire. Fra le diverse categorie di bisogni, in ambito sportivo quello del riconoscimento è generalmente il più sentito. Spesso la riuscita in ambito sportivo viene interpretata dall’atleta come un riconoscimento del proprio valore di persona. Così degli atleti che sperimentano una sequenza di sconfitte potrebbero sviluppare la percezione di una propria mancanza di abilità, le vittorie
saranno quindi viste come prodotto di errori degli avversari. Questi giocatori probabilmente modificheranno il proprio impegno per preservare il concetto di sé, giustificando i risultati scadenti e alimentando una cultura dell’alibi. Per poter invertire la tendenza si dovrebbe riuscire a far loro riacquisire una percezione obiettiva della propria self-efficacy .
La coerenza e l’onestà sono le chiavi per gestire il rapporto con tante personalità differenti.

L'allenatore, il modello di gioco e la Metodologia Operativa